giovedì 30 luglio 2015

Prefazione del libro BINOMIO D'AMORE. Musica e poesia sulle corde della vita di Maria Fontana Cito


  Prefazione           


  IL  DOLORE : UNA MUSICA LONTANA

  Non esiste solo un altro modo di godere ( l’Eros della lontananza ) cantato negli ultimi
due libri di Maria Fontana Cito, ma anche un altro modo di soffrire, che potremmo
chiamare il Pathos della lontananza, o meglio ancora : la lontananza del Pathos.
 In questo quarta raccolta di poesie di una scrittrice cui, assai più del lavoro lessicale,
 sintattico o stilistico, sta a cuore l’espressione immediata del tumulto dell’esistenza,
 dove l’ebbrezza si lega alla cosmografia della sventura, entra più vistosamente in       scena la crudeltà della vita ( vedi Meteorite ), il “ dolore profondo e sottile/ che svuota
le braccia/ e rende deboli le gambe “ ( Voglia di piangere ). Maria Fontana Cito scrive
di getto, denuncia  “ freddori “ – jacoponiani! – ( Preghiera ), lacerazioni e rattrap-
pimenti, routines e gabbie del quotidiano ( Il lume e Donne ), menti sommerse da ri-
gurgiti di tristezza ( Blob ), nausee del gregarismo massificante ( Ma io, chi sono ? e
Le maschere ) e, quasi in trance, riesce a cogliere quegli aspetti disgreganti del post-
umano su cui,  in una lettera a Lou Salomè, ebbe modo di soffermarsi anche Rilke :
“ Oh, che mondo è mai questo ! Pezzi, pezzi di uomini, parti di animali, residui di cose
che sono state, e tutti che si muovono ancora, scompaginati da un vento sinistro e,
trascinati, trascinano, cadenti si scavalcano nella caduta “ ( Pezzi di me come giocat-
toli rotti …. fa eco M.F.Cito in Frammenti )….
  Maria Fontana, tuttavia, non contrasta fino in fondo il dolore. Sembra quasi tendere
l’orecchio e percepire in modo straniante che anche il dolore è musica o, per lo meno,
che le sue vibrazioni scaturiscono dalle stesse onde di energia che sovrastano insieme
il patimento e l’estasi. Di qui una specie di incantamento meditativo, accompagnato da un vago dondolìo ritmico, che volge ogni pena in una cadenza prossima alla rima
perfino nei casi più traumatici. E’ come se si stesse tentando di soffrire senza soffrire.
Allora anche l’ombra dei morti ( Padre ) è appena sorvolata da una musica lontana, simile a quella di cui parla Joyce nell’ultimo, splendido racconto di “ Gente di Dubli-
no “, l’amarezza si converte lorchianamente in celeste miele, gli schiaffi della vita si
trasformano in fruscianti tremoli d’archi e glissandi d’arpa e le schegge disperse del-
l’io diventano scintille di luce sulla superficie dei mari. Nel momento stesso in cui la
dolorosa contrattura viene poetizzata e scritta, si distende in godimento musicale,
giacché – come soleva dire Lacan – “ l’écrit est la jouissance “… Se, quindi, l’avventu-
ra di linee che è la scrittura fa palpitare nel deserto più devastato i lineamenti del viso
dell’Amato, ciò è dovuto proprio al suono della lontananza, che mette in dissolvenza,
nella lunga prospettiva degli anni, ogni ferita e ogni “ malattia dello spirito “ ( termine
manniano inconsapevolmente usato da M.F. Cito; cfr. Un cesto di fiori, Ricorderò,
Dalla Rocca, Inizi, Musa aretina, La stella, Musica dell’oblio, Cupido, etc. ). Melodie di tormenti che bruciano, ma ormai da lontano… Sorrisi sempre di nuovo germinanti  
dagli strazi, che chiedono al pianto di ballare.  Voci provenienti da tempi immemorabili, ma che, una volta udite, spezzano per sempre l’inerte sequenza dei giorni :    “ Dolce Voce, come il vento delle spiagge venuto da chissà dove,…..è da quel
tempo che nel lutto rido e piango nelle feste e che apprezzo per soave il vino più amaro; che spessissimo prendo fatti concreti per finzioni e che, con gli occhi al cielo,
cado in buche. Però la Voce mi consola e dice : Custodisci i tuoi sogni : i saggi non ne
hanno di così belli come ne hanno i pazzi “…. ( Charles Baudelaire ).
  Paolo Ramaccioni





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