giovedì 30 luglio 2015

Prefazione del libro BURR@CO BOUDOIR. Poesie di erotismo e amore di Maria Fontana Cito



































Nervo  di  luce  pura
di Paolo Ramaccioni


“[…] el nervio de luz purapor donde el alma filtra leccion de beso y ala”
Federico Garcia Lorca, Carne                                                                                             
Se mai il nume sinuoso e stregato della carnalescenza in un essere è sorto ed ha parlato, ciò è stato nei versi di Maria Fontana Cito.  Le sue "pillole" eroto-liriche non sono lavoro di scrivania, ma una fatalità che oltrepassa il derma, fa un buco nei tessuti per arrivare, al di fuori di ogni intellettualità della cultura, al plesso originario dell'Eros cosmogonico e risvegliare i quattro elementi primordiali e le transizioni di fase che hanno sempre animato l'istinto poetico (dal persiano Mahsati Ganjavi agli "Alcools" di Apollinaire ).
La superficie di queste poesie non è analizzabile. Ogni critica spegnerebbe la febbre che ci trasmettono, il fermento che le attraversa avvampando e si converte in piccoli pungoli ripetuti fino al sussulto finale, "in cauda", dove si spezzano i clichés.  Le frasi verbali sono spume vertiginose su mari d'erba. Le frasi nominali sono girasoli ebbri in progressivo deliquio.
Apparentemente, l'estrema concentrazione formale richiama quella delle quartine cinesi del periodo T'ang. In realtà, la catena di stigmi poietici è costellata di elettrodi ad alta intensità sensuale, introvabili nell'esotico "gu-ti-shi". 
Le parole sono cariche di immediato e vigoroso magnetismo. Il fluido di fresco desiderio corre come in un filo scoperto serpeggiando tra cartilagini e midollo fino all'estremità delle dita, che, quando sfiorano la tastiera, diventano polle sorgive e bollenti del plasma vivente incarnato.
Le Ninfe hanno insegnato ad Apollo a tendere l'arco e a Maria Fontana Cito, nell'ebbrezza della metamorfosi, gesti  vivi e brezze immaginarie.  Stati di grazia elementare, tentativi alchemici di far crollare i muri e diventare musica, sopraffusioni "ingenue" (nel senso schilleriano del termine), che ricordano quelle di una poesia di Henri Meschonnic:



“io la vita
cammino 
di sole in sole                  
da chioma a nube  
un albero di odori       
nelle braccia                
sento tutti i fiori      
sono in tutto quel che si dice in tutto quel che non è detto io trabocco dalle parole         
[…]                                        tutte le mie parole                  sono per la vita”.
                                 
                                                                 


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